GALATINA - LECCE LE TRE PORTE DELLA CITTA VECCHIA
Galatina Situata a 20 km a sud di Lecce, Galatina svela uno splendore artistico iniziato nel XIV secolo con gli Orsini del Balzo. Dalle tre porte della città vecchia, Porta Luce, Porta Nuova e Porta dei Cappuccini, si diramano le stradine del centro storico. Ad introdurre alle meraviglie del borgo antico, c’è la “lampada senza luce”, chiamata dai galatinesi “la pupa”, che accoglie il visitatore che s’accinge a imboccare la via che porta l’attuale sede del Comune, Palazzo Orsini. Da qui, portici e palazzi settecenteschi abbelliti da imponenti portali e balconi brulicano fino a placarsi davanti alla maestosa Basilica Orsiniana di Santa Caterina d’Alessandria, vero scrigno di tesori della fede. Ci si può addentrare nel tempo e nella storia della città visitando il Museo Civico Pietro Cavoti, con reperti di epoca medievale e dipinti di pittori galatinesi, o scendendo nelle tre cripte basiliane di Santa Maria della Grotta, Sant’ Anna e Santa Maria della Porta, tangibile testimonianza delle fughe dalle persecuzioni dei monaci da Bisanzio verso le regioni del Sud Italia. La chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina (Lecce). Né fa mestieri un fervente interesse per le cose dell’arte, che pure non guasta, bastando ad attizzare focose curiosità le vicende, storiche come leggendarie, che la chiesa racconta col suo sfarzoso esistere. La bella facciata romanica e i suoi romanici decori (si veda la lunetta del portale entrale con la sirena bicaudata al centro dell’arco, giusto sopra la testa del Cristo, sembrano giustificare la datazione proposta dal Cutolo alla metà del Duecento, piuttosto che al secondo Trecento come sostenuto dai più. Gotica si palesa invece l’architettura interna, pur con i bassi arconi di passaggio tra le navate, che sempre acuti sono. Quasi completamene cancellati gli elementi bizantini, altro strato della torta multiculturale che i Normanni farcirono di stilemi arditi e di credenze anche precristiane, come il Rex Arturus del mosaico di Otranto, a cavallo di un caprone. Veramente sontuosi gli affreschi, per estensione, fattura e complessivo stato di conservazione. La vedovata contessa d’Enghien, che fu poi regina di Napoli in seconde nozze (per poco), fece ridipingere completamente pareti e volte della navata centrale, nei primi decenni del Quattrocento, con un ambizioso ciclo dalla Genesi all’Apocalisse. Così ambizioso che qualche angolino rimane allo stato di sinopia. Senza dimenticare il presbiterio e le altre navate, dove troviamo il martirio di Santa Caterina, la storia della Madonna, San Giorgio, e molto altro Gli affreschi sorprendono anche per la vivacità delle scene, che rivela una sensibilità popolare entro l’assimilata maestria giottesca (la contessa poi regina chiamò pittori dalla Toscana, perché voleva il meglio per onorare la memoria del marito):
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